SOSPIROLO. A Gena Alta c’è solo una panca. Dopo aver attraversato tutto il villaggio, proprio quando stai pensando di tornare indietro, eccola sbucare sul prato e sussurrare il tuo nome con il vento. Sembra messa lì apposta per dire fermati, fermati e osserva tutto quello che hai intorno e tutto quello che ti sei appena lasciato alle spalle, resta ancora un po’ qui dove non passa mai nessuno. Siediti, ti prego.
Mi siedo.
I Monti del Sole, incantati e selvaggi, mi guardano negli occhi. Mi incutono fascino e timore ma allo stesso tempo mi sento totalmente protetta. C’è un’alchimia che non mi so spiegare, come la prima volta, quando su quella stessa panca ascoltai qualcuno leggere delle madeleines di Proust.
È vero, ogni cosa a Gena è una madeleine che evoca i tempi passati e la vita quotidiana di chi, dopo l’alluvione del 1966, abbandonò definitivamente e di fretta i villaggi di Gena Bassa, Media e Alta.
Causa dell’abbandono la pressoché totale inaccessibilità del luogo viste le pessime condizioni della stretta strada che contornava il lago di Mis provenendo da Sospirolo (BL). Eppure quella strada, ancor prima della costruzione della diga e la formazione del lago, era una strada ardita ma importante e vi passavano pure le autocorriere di linea. Conduceva a California, paesetto minerario sorto dal nulla, il sogno americano di fine ottocento nelle disperse lande bellunesi. (…) Gena Bassa era un vero e proprio paesino, con tanto di scuola elementare pluriclasse, ufficio postale, un alberghetto e naturalmente la chiesa.Tutto venne inghiottito dalle acque del lago quando venne riempito d’acqua nel 1962”.
Fonte: magicoveneto.it
Fa impressione voltarsi e vedere brandelli di pietra ancora in piedi, disegni di sasso in mezzo al bosco che ancora non vogliono arrendersi, che si tengono stretti ai rami degli alberi e alle nuvole oltre i tetti per non crollare. Anche le finestre sono ancora aperte: sembra quasi che una fata sia passata di qui con la sua bacchetta e abbia esclamato: “Che entri ancora il sole in queste case”. Sarà per questo che si percepisce una strana luce fatta d’incantata malinconia.
Così sui muri stanno ancora i fiori dipinti a mano, le spugne, le scale sospese e spezzate, le schiene appoggiate degli spettri. Silenzio. Rispetto.
Ripenso alla panca. Madeleine.
Fermo lo sguardo sulla sedia nell’angolo. Immobile osserva il fragile equilibrio della casa: chi stava seduto lì? Un bambino? Un cacciatore che scrutava i Monti del Sole? Una donna stanca dei suoi mestieri? E se anche ora ci fosse seduto qualcuno?
Irene P.
Che meraviglia questo tuo scritto su Gena…. E le foto sono meravigliose… ti trasmettono chiaramente quel paradosso del vedere tutte quelle cose materiali, che saranno state fondamentali e irrinunciabili per i loro proprietari in vita, divenute poi abbandonate nel momento in cui la vita se ne è andata. Tutto quello che prima meritava custodia e cura, diventa assolutamente inutile e trascurabile.
Fa riflettere…
Sempre bravissima!
Really appreciate you sharing this blog article. Really thank you! Much obliged. Robina Peadar Darrin